domenica 29 maggio 2011

episodio 18: In vita c'è chi boccia e chi fa punti

non era stato Pietro a ficcarmi il biglietto sotto la porta, ma alle persone basta mettere pressione e qualcosa viene a galla. mi parlò di Mario Perini, un collega del padre, che lo aveva cercato per fargli la ramanzina, perché magari Elio era morto suicida ma da lì a frugare nella sua vita ce ne correva. lo trattò come un figlio ingeneroso e lui, che più che tale era debole, fu felice di abboccare. Perini oltre che alla Solvay se ne stava spesso al bar a bere ponce e giocare al biliardo. ci andai dopo gli allenamenti. lo vidi piegato sul tavolo nella saletta. aveva un modo particolare di bocciare. usava il braccio come una stecca e oscillava d'anca per imprimere il movimento. Elio avrebbe voluto farci squadra, ma quello cercava uno che facesse punti e lui di punti in vita sua non ne aveva mai rimediati. forse da morto.

sabato 14 maggio 2011

episodio 17: Vivere è una metafora del cazzo

il palo della luce sfrigolava per la tensione. tutto a ben guardare è metafora. lo stesso albero di natale lo era. si immalinconiva a bordo del campo di calcio. quella mattina il respiro lasciava tracce nell'aria gelida. un'altra metafora. tale e quale alla natura. un mese prima, a novembre del 1980, c'era stato il terremoto. in Campania e in Basilicata. 3000 morti, 10000 feriti. i numeri sono realtà, ma la realtà non interessa. meglio le metafore. continuavo a lanciargli la palla. a sinistra e poi a destra. continuavo come se il gioco fosse prevedibile. Pietro aveva il sinistro di uno zoppo, per cui quando calciava ero costretto a spostarmi lateralmente per riprendere la palla. sembrava non avesse niente da chiedermi. nemmeno di come procedevano le indagini riguardo la morte di suo padre. il lutto è solo un improvviso senso di responsabilità, finito il quale tutto si quieta. smisi di lanciargli la palla. "sei stato tu a mettermi il biglietto sotto la porta?" gli chiesi.

sabato 7 maggio 2011

episodio 16: Le orme di un angelo

sotto alla porta comparve un biglietto. avevo già bagnato di latte il pavimento, tanto valeva arrivare fino in fondo al corridoio ed aprire. non feci in tempo. pensai fosse stato il vicino. quello che al mattino gettava l'immondizia sul pianerottolo perché la portassi in strada. mi chinai a raccogliere il pezzo di carta. "se volete sapere come è morto Elio cercate nello stabilimento. firmato: un amico". roba da Romanzo popolare. corsi alla finestra. per strada il solito via vai. comunque non era difficile da capire. io e Abissinia avevamo dato nell'occhio e qualcuno non gradiva. segno che Elio Baraldi sulla statale non c'era finito per caso. segno che oltre al figlio c'era qualcun altro che cercava o sapeva la verità e, soprattutto, che c'era un'altra verità. come sempre. guardai le mie orme bianche. ero nudo e lasciavo le impronte di un angelo. forse era meglio che prendessi qualche altra goccia di lexotan al gusto di fragola.

episodio 15: Dio è momentaneamente assente

Abissinia prese posto sull'inginocchiatoio. passò la mano sui buchi fatti dai tarli. ce n'erano decine a rammentare che il legno buono della fede è continuamente aggredito. "sono un povero penitente al tuo cospetto..." mormorò, quindi, raccolse i pugni in preghiera. i riccioli corvini sfiorarono il lattone forato che sostituiva la grata. a Rosignano le chiese sono poco più che stanze. "ho ucciso, torturato e piagato le carni, ma solo in tuo nome. in nome della verità..." le rughe gli si addensarono come una ferita. "l'ho fatto e lo farò ancora. ogni volta che sarà necessario."  nessuno lo assolse, né gli recò conforto, eppure aveva acconsentito a prendere su di sé il peso della croce. restò spirito e carne viva in attesa di un segno, finché una voce alle sue spalle non lo scosse. "figliolo..." Abissinia si alzò, riassettando le vesti. il prete innanzi a lui lo scrutava. "non si preoccupi, padre. ho già fatto." gli disse prima di sparire controluce.

domenica 1 maggio 2011

episodio 14: Meno strano che ammazzare

stavo finendo il Lexotan, non il senso di colpa. quando erano venuti a svuotare casa di Lara, mi ero preso le sue medicine. Surplix e Tofranil tra i triciclici. un po' di Tavor, qualche inibitore delle monoammineossidasi. il Lexotan in gocce ha il gusto di fragola. si accompagna bene al vino dolce. appoggiai il bicchiere sul bordo della vasca. guardai la finestra. era l'unico spazio da cui si vedesse il mare. un mare falso, sbiancato dagli scarichi della Solvay. pare per via del cloruro di calcio. Pietro non era venuto agli allenamenti. meglio così. avrei avuto solo da dirgli che suo padre era un drogato. già, ma con quali soldi? sul piatto Dexter Gordon raccontava di un amore falso. lo raccontava con leggerezza, come se in fondo non dovessimo curarci del peggio. immersi la testa nel latte. vino dolce, Lexotan e una vasca piena di latte come la tazza della colazione. non era per via della pelle, ma perché mi piaceva. Di certo meno strano che ammazzare.

sabato 30 aprile 2011

episodio 13: Ciò che gli UFO desiderano veramente

"perchè no?" "perché sono più evoluti e probabilmente non hanno interesse a conoscerci." "lo era anche Dio, eppure ci ha mandato suo Figlio..." sentenziò Abissinia. Tito innarcò il sopracciglio, quindi, chiuse la rivista. era "Stop" con la copertina grigia zeppa di petrolio ed il bollone rosso. "se davvero il tuo Dio esistesse faresti meglio a preoccuparti..." commentò, riaggiustandosi il foulard. si rivolse poi al bancone. "pago due ponce..." "Dio ci ama..." borbottò Abissinia rimasto da solo al tavolo. c'erano dei momenti in cui era costretto a ripeterselo. "ci vediamo dopo..." lo salutò l'uomo con un sorriso allusivo. scomparve dietro la tenda di plastica verde. avevamo appena terminato gli allenamenti. un manipolo di ragazzi che inseguiva il sogno del calcio in riva al mare, sotto le ciminiere della Solvay. un manipolo di genitori che riversavano sulle loro esili vite mediocrità e cupidigia. forse gli Ufo ci avevano davvero osservati e consapevolmente avevano tirato dritto.

sabato 23 aprile 2011

episodio 12: Le parole non servono

iI rudere si chiamava Acque della Salute. ne osservai le logge decrepite alla luce della luna. le sorgenti un tempo guarivano disturbi dello stomaco, del fegato, dell’intestino. persino i postumi della malaria. adesso un cavalcavia gli passava attraverso. Abissinia stava riscaldando l'eroina disciolta nella stagnola. osservai il marocco legato e imbavagliato. Sembrava aver capito che finiva male. mi alzai e gli tolsi il bavaglio. "Vi prego..." supplicò. "Baraldi aveva fatto acquisti da te quella sera?" gli tornai a chiedere. lui finalmente annuì. "da quanto?" "qualche mese..." pensai che era un lusso per un operaio della Solvay. la sostanza, comunque, era chiara: la sera in cui il Baraldi s'inginocchio sulla statale per farsi spremere era strafatto. "Lara la conoscevi?" uscì da sola. era una domanda incongrua dopo tutto quel tempo. non ricordo nemmeno la risposta. Abissinia mi guardò. credé di cogliere nel mio sguardo l'intenzione e senza pensarci iniettò la morte al marocco.

episodio 11: I sensi di colpa si risolvono solo con la violenza

Abissinia tornò con la birra ancora in mano. si sedette al tavolo, mentre il marocco lo guardava da lontano. non aveva capito con chi aveva a che fare, ma certo qualcosa non gli quadrava. "che dice?" Abissinia ingoiò un sorso prima di rispondere. "che gli dispiace, ma Baraldi non era del suo giro." "bugia?" gli chiesi. Abissinia annuì. "e Lara...?" "è passato troppo tempo per sapere... dovevi pensarci all'epoca ..." da lui non c'erano da attendersi approssimazioni. sempre e solo logica e follia. "che facciamo?" mi chiese, passandomi la stagnola col fumo che aveva appena acquistato. risposi senza distogliere lo sguardo dallo spacciatore. "andiamo da qualche parte, poi torniamo qui a sera ...". 

sabato 16 aprile 2011

episodio 10: Livorno è sulla luna


di don Medocchi, cinquantenne parroco della chiesa di San Benedetto, e delle sue particolari inclinazioni bastava chiedere agli sbandati di piazza XX Settembre. altrettanto ai piccioni che finiva a bastonate per ingannare il tempo nei pomeriggi d’estate. se Abissinia avesse, dunque, perso la presa poco male. tornati al bar aspettammo, scrutando la piazza gremita. imparai così che i livornesi camminano strusciando i piedi, che parlano a voce alta e che a parole sono tutti comunisti. per me che nasco al nord Livorno è la luna. il marocco comparve intorno alle quattro del pomeriggio, assieme ad altri due compari. Abissinia era al telefono a gettoni che prendeva accordi con Tito. gli feci segno. congedò l’amante, ordinò al banco una bottiglia di birra e si diresse verso i tre, tranquillo come l’apocalisse. lo seguii con lo sguardo.

episodio 9: A testa in giù si parla meglio

sei sicuro?” gli chiese Abissinia. non sembrava faticare, mentre lo teneva per la caviglia. “la roba gliela vendeva da qualche mese il marocchino…” gridò terrorizzato. “e prima?” domandai. “prima non so… vi prego…”. piagnucolò. Abissinia mi dette uno sguardo, quindi, accennò al baratro. avevo ancora una domanda da fargli. “conoscevi Lara Bandini?” l’uomo provò a guardarmi negli occhi, ma alla rovescia e col panno sul capo era difficile. “chi?” chiese intontito. “Lara Bandini…” ripeté Abissinia. capii dal silenzio che stava passando in rassegna l’anagrafica dei propri peccati. “è morta di overdose cinque anni fa’.” chiarii. “la roba l’aveva comprata in piazza.”. “all’epoca non ero qua…” mormorò. Abissinia, poco convinto, gli dette uno scrollone. “stavo ancora in brianza!” urlò. feci cenno al mio amico di rimetterlo sul ballatoio. l’uomo si accasciò come un sacco di patate. “Grazie per le informazioni, padre.” si congedò Abissinia.

sabato 9 aprile 2011

episodio 8: Tu come vorresti morire?

sopra il cielo, sotto l'alveare. era pieno di baracche di lamiera zeppe di mercanzie gettate alla rinfusa, come se un tornado le avesse assunte in cielo, quindi, scaraventate a terra. in piazza XX Settembre vendevano e compravano, gridando con le vocali aperte e le elle dilatate. le sciarpe amaranto della locale squadra di calcio, serrate in cappio, pendevano ovunque dai travicelli. annusai il profumo acre della scaduta di libeccio, le budella e il sangue del pesce gettato sull'asfalto. Dio era altrove e non accompagnò di certo Lara quando proprio lì aveva cercato il suo spacciatore. finii l'ultimo bicchiere. non avevo raccolto granché al bordello. solo l'indicazione di cercare nel giro della droga. "tu come vorresti morire?" chiesi ad Abissinia. ci pensò un istante, poi si alzò dallo sgabello lasciando i soldi sul bancone. "Come Dio vuole..." era questa la differenza: io pensavo solo a me, mentre  lui agiva per conto terzi.

episodio 7: Nasciamo individui e moriamo personaggi

mi ero trattenuto con la bruna dopo che lo sbirro se ne era andato. il bordello la mattina concilia a perdere tempo. sesso, una sigaretta, qualche parola e le ansie passano. uscendo incrociai Madame Franca, la tenutaria. "non mi hai ancora portato nessuno dei tuoi ragazzi..." mi rimproverò. era vero nonostante al campo da gioco me lo chiedessero di continuo. "sei sempre il solito, Bontempi..." mi sorrise. "prometti, non mantieni e ti circondi di stronzi..." A lei Giovanni non piaceva per niente. diceva che insieme a certi suoi colleghi si era infilato in giri strani. "quello è un pezzente ... nell'animo...". sentenziò. ne conoscevo un mucchio così e non necessariamente sbirri. la osservai. In fondo pure lei era diventata un personaggio. nel casino ognuno recitava il ruolo alla perfezione: la tenutaria filosofa, lo sbirro una merda e io la buona canaglia. suonavamo falsi come mestoli di latta in una ferramenta. "della morte di Elio Baraldi sai niente?" le chiesi, sovrappensiero.

sabato 2 aprile 2011

minimo noir: episodio 6: Dal casino si vede il paradiso

minimo noir: episodio 6: Dal casino si vede il paradiso: "vidi i loro sguardi incrociarsi nella penombra del corridoio. il vecchio spostò lo sguardo su di me. tornò ad interrogare muto il mio amico ..."

episodio 6: A Livorno dal casino si vede il paradiso

vidi i loro sguardi incrociarsi nella penombra del corridoio. il vecchio spostò lo sguardo su di me. tornò ad interrogare muto il mio amico sbirro che annuì. si infilò, quindi, furtivamente nel boudoir della madama. "ma quello non era...?" "fatti i cazzi tuoi..." mi zittì lo sbirro. difficile che i preti amino la pubblicità, pensai. procedemmo guidati dalle nostre due ragazze. giungemmo nell'alcova del secondo piano, quella col terrazzino da cui si vedeva il vescovado. cominciammo a spogliarci. "sicuro che sia suicidio?" gli chiesi. "come la morte..." ribadì lui, togliendosi un pedalino. "e il motivo...?" "chi se ne frega? sono un poliziotto, mica un giornalista..." le ragazze erano già nude e ridevano serene, mentre io avevo ancora un tarlo. "nessuno indaga più, quindi?" "perché mi fai tutte queste domande? il Baraldi era amico tuo?" mi chiese fissandomi con le mutande alle ginocchia. No, non lo era. Nemmeno suo figlio Pietro.

minimo noir: episodio 5: I fiori più belli sono al cimitero

minimo noir: episodio 5: I fiori più belli sono al cimitero: "dalla collina si vedevano le ciminiere. ingoiai un sorso di birra. l'odore salmastro invadeva il cimitero. sulla lapide di Lara qualche fior..."

episodio 5: I fiori più belli sono al cimitero

dalla collina si vedevano le ciminiere. ingoiai un sorso di birra. l'odore salmastro invadeva il cimitero. sulla lapide di Lara qualche fiore secco e un po' di terra portata dal vento. non ero lì per amore, ma per senso di colpa. ho spento troppe stelle in vita mia e poche ne ho cercate. è il destino dei perditempo. sapevo che avrei rifatto tutto allo stesso modo. che le persone si stancano delle altre e mantengono i patti solo per debolezza. "andiamo?" mi voltai. Abissinia aveva finito di raccogliere i fiori dalle altre tombe. poggiai allora la bottiglia sulla lapide e mi allontanai con lui. "che ne pensi?" gli chiesi, rinserrato nel paltò. "che per sapere dobbiamo chiedere..." di gente ne conoscevo. essere stato un calciatore aiutava. "non c'erano gladioli..." si lamentò Abissinia, accennando ai fiori. a Tito, il suo amante, piacevano. accelerai il passo. l'inverno nei posti di mare lascia lunghe ombre e vento freddo che non giova alla poesia.

domenica 27 marzo 2011

episodio 4: La curiosità rovina i perditempo

"non è stato un incidente..." Pietro tormentava con le unghie il tavolino del bar.
"glielo hai detto alla polizia?" chiesi.
"pensano che abbia bevuto e poi sia finito in ginocchio sulla statale..."  commentò con una smorfia.
"sì, ma noi che c'entriamo?"
il ragazzo mi guardò dritto negli occhi. "conoscevi mio padre..."
Elio Baraldi lo vedevo alla rete di recinzione del campo tre volte a settimana. smesso il turno alla Solvay, veniva sperando che Pietro potesse divenire un calciatore. tempo sprecato.
"ve lo chiedo per favore... "
"secondo me faresti meglio a parlare con i tuoi parenti..." gli suggerì Abissinia.
non ne aveva. il padre si era trasferito anni prima per via dello stabilimento chimico e della ex che lo tradiva.
"i compagni di lavoro?"
"è per questo che sono qui. voi li conoscete..."
Abissinia mi fissò. pensai che solitamente la curiosità rovina gente come noi.

sabato 26 marzo 2011

episodio 3: Come investire un fiore sull'asfalto

nello spogliatoio c'era profumo di caldarroste. natale 1980. il 12 dicembre le BR avevano rapito il direttore generale degli Istituti Carcerari. a capodanno avrebbero ucciso il generale dei carabinieri Galvaligi. fondamentalmente a nessuno importa niente di niente, ma l'odore del sangue si diffonde ovunque. nello stanzone eravamo rimasti solo io ed Abissinia. i ragazzi ormai sciamavano per le vie circostanti. "hai le stesse mutande di ieri.." osservai. "ne ho comprate un po'. mi piacciono." peccato fossero a strisce colorate, inguardabili. entrambi ci vestivamo più lentamente del solito. Pietro aspettava fuori. avevamo poca voglia di incontrarlo. gli avevano investito il padre appena due giorni prima. l'autista del camion sosteneva che era ubriaco, non poteva essere altrimenti. se lo era trovato di notte dietro ad una curva. inginocchiato come se lo stesse aspettando.

sabato 19 marzo 2011

episodio 2: Ognuno tiene i propri ossari a portata di mano

ho una scatola verde di cartone poggiata sopra l'armadio in camera da letto. dentro tra le cianfrusaglie c'è una foto di me e Lara in spiaggia. una polaroid che avevo scattato tendendo il braccio verso il cielo. ci ritraeva per metà perché non avevamo più che la metà di noi. mi stirai per arrivare alla scatola. la camicia scoprì il ventre rilassato. avevo smesso col calcio da cinque anni. bevevo, fumavo, scopavo. di diverso c'era solo che adesso allenavo i ragazzi. disponevo di un mucchio di tempo, ma non avere occupazioni peggiora il carattere. presi la scatola. ci misi l'articolo che avevo ritagliato. la polizia riteneva si trattasse di omicidio con annesso suicidio. un litigio, la spinta, quindi, il padre non aveva retto al rimorso e si era gettato di sotto. la vita non è mai così semplice. la metà di Lara mi guardò con sguardo inesprimibile. chiusi la scatola e la riposi in cima all'armadio.

sabato 12 marzo 2011

episodio 1: Le grida dei morti sono poca cosa per il mare

 Abissinia non aveva bisogno di niente. né di me, né degli altri. era una pietra. un meteorite che ormai passava i quaranta. possedeva coltello, macchina e follia da invasato. gli avevo detto di non farlo, che non potevo più far finta di niente. falso. certo che potevo e lui lo sapeva. fu così che avvicinò il ragazzino allo strapiombo, gli tolse il bavaglio e lo spinse di sotto. poi toccò al padre. le grida dei morti sono poca cosa per il mare. gettai la sigaretta e rientrai in macchina incazzato. Abissinia si fece quattro segni in croce, quindi, girò i tacchi. prima che aprisse la portiera, pensai che in fondo era destino. un portiere di calcio è abituato a far fronte a tutto. agli attaccanti, ai difensori scarsi, ad un retropassaggio avventato, all'arbitro venduto. un portiere è pronto a metterci sempre la pezza. quando sei abituato così passare il limite tra coraggio e indifferenza diventa un attimo. come spingere uno giù dalla scogliera.